martedì 5 gennaio 2010

Sulle corde, di Monica Dini


«Le finestre sono come cartoline. Ci potresti scrivere sopra i saluti».
Monica Dini, speleologa toscana, introduce una visione fatalmente umana degli speleologi, il popolo dei frequentatori delle cavità sotterranee, attraverso una finestra insolita, quella della memoria fantastica.
Tra le righe di Sulle corde, prima fatica editoriale della Dini, edito dalla Società speleologica italiana (pp. 96, € 8,00), l’autrice non svela particolari che sfuggono agli esploratori del buio, non racconta dettagli di avventure nelle viscere della Terra, e non documenta uno spazio geologico.
Gli “Archivi del tempo”, come ama definirli spesso Giovanni Badino – che presenta il libro – rappresentano una dimensione realisticamente “umana” dell’animo e dell’identità degli speleologi e della donna, in particolare, immersa in questo stravagante universo.
Una interpretazione surreale di desideri, passioni, ricordi ed esperienze di questo popolo assai scollato dalle dinamiche sociali, ma pur sempre vittima inconsapevole, per certi versi, di queste ultime.
Il libro è una raccolta di racconti che evidenziano gli spazi infinitamente ridotti della coscienza e della conoscenza umana, quasi a voler porre un accento sulla dimensione carnale (e quindi “a tempo”) di uomini in imprese memorabili; la penna arguta, spesso provocatoria dell’autrice, veleggia sul profilo dell’uomo che a onor di anagrafica contempla le sue gesta in una memoria ormai sbiadita.
Il linguaggio, di immediata comprensione, permette la lettura anche ai non addetti ai lavori.


Intervista a MONICA DINI

Monica quando hai cominciato a fare speleologia?
Ho cominciato ad andare in grotta quando avevo circa venti anni. Credo però che ci si possa definire speleologi quando si è capaci di andare in esplorazione, armare e avere cognizioni in autonomia, in questo senso ho solo piantato qualche chiodo.

Qual è il ricordo speleologico che porterai sempre con te?
Il ricordo è il buio. Restare soli, spegnere la luce aspettare senza emozioni o ragionamenti che il buio mi riconosca come roccia, mi conceda di confondermi, in un certo senso mi assolva.

Qual è il rapporto tra donna e speleologia (secondo la tua esperienza)?
Non mi piace parlare di donne e uomini, mi piace l’essere umano. Certo le donne possono anestetizzare la fatica come i dolori del parto, ma gli uomini possono pisciare senza togliersi tuta e imbrago.

Nel libro citi personaggi dai nomi immaginari, ma forse in qualche caso pare chiaro il riferimento a qualche amico un po’ ’speciale’ nella tua ‘carriera’ speleologica..

Ho avuto il privilegio di osservare amicizie speciali, quelle che nascono dalla fatica, dalla condivisione di sensazioni e atti vissuti non come individui ma arti di un corpo unico. Quando ho ascoltato delle grandi esplorazioni al Corchia, per esempio, mi è sembrato che in fondo i personaggi si confondessero, come se non avesse grande importanza chi aveva scoperto cosa, perché tutti quelli che c’erano, erano scossi dalla medesima emozione. Io non ho fatto parte di questo.

Spesso fai riferimento alla “decadenza”, all’anzianità anagrafica e di servizio: è un messaggio particolare?

Io spesso ho dovuto aspettare, per esempio per tornare in grotta. E’ bene ricordarsi che siamo corruttibili per avere la misura, per non perdere di vista il fatto che non possiamo aspettare per sempre.

Rimpianti o rimorsi?

Troppi puntini di sospensione in Sulle Corde. Ho sempre scelto di fare subito ciò che reputavo più importante, per questo ho accantonato altro confidando di riprenderlo al momento opportuno; è perché non sono brava a fare bene troppe cose insieme, sono lenta. Ho avuto la fortuna di non morire e ho provato ad aspettare ciò che avevo lasciato indietro. Non ho rotolato nella vita, ho deciso. A parte i puntini di sospensione, non ho rimpianti o rimorsi, trovo che siano una perdita di tempo.

Come si conciliano per una donna speleologia e famiglia, secondo te?
Non sono la persona giusta a cui fare questa domanda, io non ho conciliato speleologia e famiglia. Ho fatto una cosa alla volta, solo adesso che la mia famiglia sa fare a meno di me, sono tornata in grotta ed è stata una ricompensa per la lunga attesa.

Un uomo che ha trascorso la sua vita in grotta quanto può diventare “fragile” quando smette di frequentare l’ambiente sotterraneo?
Credo che gli esseri umani che hanno sofferto e goduto grandi passioni, possano, adeguando i ritmi, mantenerle per sempre. Credo che si possa morire perché è giunta l’ora, anche stando attaccati ad una corda. Quando non si riesce ad avere questa visione, a volersi bene, accordandosi con il fatto che invece di volare, dobbiamo strisciare per continuare ad avere emozioni, allora diventiamo fragili. Questo nella vita in generale. Io credo che impossibile da fare sia tutto ciò in cui non crediamo abbastanza.

Perché il libro Sulle corde?

Scrivere è stato accantonato insieme alla grotta per molto tempo. Quando è stato il momento giusto, con umiltà, ho cominciato a sperimentare quale fosse il modo migliore di mettere insieme le parole per trasmettere quello che volevo. Ho avuto la fortuna di incontrare Julio Monteiro Martins, scrittore, direttore della scuola di scrittura creativa Sagarana e della omonima rivista, con cui confrontarmi, lui ha avuto la pazienza di farmi da maestro. Quando ho cominciato a scrivere quello che poi è diventato Sulle Corde, non sapevo che sarebbe diventato un libro, stavo solo cercando di imparare una tecnica.
L’idea è nata quando mi venne in mente una storia: un uomo senza alcuna esperienza, ma con un grande desiderio, si organizza ed entra in una grotta. E’ talmente grande il suo stupore e la sua ingenuità tecnica, che presto rimane senza luce. Prende coscienza del fatto che dovrà morire, ma mentre stremato dal pianto si appisola, sogna un giorno d’estate pieno di luce abbagliante dove si vede bambino insieme a sua cugina intento a spiare una lucertola a due code che si arrampica su un muro caldo. Il sole è forte e gli fa chiudere gli occhi, si scuote e ritrova il buio della grotta, però si scopre diverso, la luce apparsa nel sogno lo consola e lo spinge a tentare. Si impegna, affina gli altri sensi, comincia a strisciare ascoltando il mutare del corso del vento sulla faccia, toccando lo scorrere delle acque, battendo testate nella roccia.
L’idea era immaginare di sopravvivere grazie alla luce di un sogno. Era una schifezza di racconto, andava rifatto ma il mio maestro rimase affascinato dalla descrizione della grotta, lui che non ne aveva mai vista una, voleva che gli raccontassi ancora, ed è così che ho continuato a scrivere storie che contenessero una parte di conoscenza di tutti, ma ambientate in un posto per pochi. E’ un libro senza pretese tecniche, è stato letto anche da chi non è mai entrato in grotta, ha avuto una doppia vita come il titolo, lo stare Sulle Corde, anche nella vita di tutti, ha un significato.


©Marilena Rodi