martedì 20 ottobre 2009

Il mito di Cassandra: quando realtà e mitologia si legano nella quotidianità. Cossiga, un “vecchio” della politica


di Marilena Rodi

Rubbettino propone confessioni
e vaticini del presidente emerito




Cassandra, figura mitologica greca, figlia del re di Troia Priamo e detentrice del dono della preveggenza, nell’immaginario collettivo viene associata alle persone che profetizzano eventi disfattisti; galeotta fu la condanna impartita da Apollo alla giovane – di profetizzare e mai essere ascoltata – che aveva coraggiosamente rifiutato il suo amore. Altro destino, seppur parallelo, pare aver percorso la Pitia (o Pizia), sacerdotessa investita da Apollo a pronunciare oracoli, venerata e scrupolosamente rispettata, nonostante i suoi vaticini fossero frutto di alterazioni mentali, allucinazioni e trance. I due destini si incrociano nella mitologia così come nella realtà. Francesco Cossiga, presidente emerito della Repubblica Italiana, nel suo Mi chiamo Cassandra. Arguzie, giudizi e vaticini di un profeta incompreso (a cura di Anna Maria Cossiga, Rubbettino, pp. 168, € 9,00), svela al lettore, serenamente, le sue lotte interiori e i confronti non sempre diplomatici intercorsi con alcuni personaggi della scena politica italiana. Da Enrico Berlinguer a Massimo D’Alema, a Romano Prodi, a Silvio Berlusconi, a Giorgio Napolitano, passando per le “ultime repubbliche” e i personaggi che vi si sono avvicendati. Un libro che è una raccolta di articoli, accuratamente selezionati tra i pezzi firmati, anche gli pseudonimi.


Cassandra-Pizia, ego-alter ego del presidente emerito

Si sente un po’ Cassandra un po’ Pizia Francesco Cossiga, che, sul calare del 2005, aveva dichiarato: «Dal 1° gennaio 2006 non mi occuperò più di “politica militante”, né con attività, né con parole, né con scritti. Non mi occuperò di politica, salvo lo impongano imprescindibili motivi di coscienza etica […]» continuando «nella vita vi è un tempo per operare ed un tempo per meditare e prepararsi a morire nella pace del Signore ed in amicizia con Lui». Ma si sa, non sempre i buoni propositi corrispondono ad altrettante azioni. Dopo quell’annuncio, Cossiga ha continuato comunque a parlare e a scrivere di attualità politica intervenendo a tavole rotonde, a dibattiti televisivi e radiofonici concedendo, altresì, interviste sui temi banditi. “Intromissioni” di un certo tipo sarebbero riconducibili a quegli «imprescindibili motivi di coscienza etica»?. Dotato di capacità di osservazione acuta e cristiana modestia, incline alla battuta ironica e pronto a favorire scuse pubbliche, Cossiga spesso è stato tacciato di follia; una personalità complessa suscettibile di amori e dissapori. «Ma io non sono matto. Io faccio il matto. È diverso… […] io sono il finto matto che dice le cose come stanno» (da Il Foglio, 27 maggio 2006).


Viaggio nell’ideologia del “picconatore”

Il primo capitolo è dedicato a La sardità, un concetto non facilmente intuibile per chi sardo non è. Riferendo peculiarità tipiche della sua terra, il presidente tratteggia i riti superstiziosi e le fantasie di un popolo incline alle profezie e alle credenze folcloristiche. Ricorda l’incanto dell’autonomia del vecchio Ducato di Savoia, caduto a favore del nuovo Regno di Sardegna, e la stranezza dei sardi nel votare unilateralmente a sostegno della realtà che veniva configurandosi. Una terra dove «non si dice “rubare il bestiame”, ma “truvare sa roba”, cioè “far camminare la roba”» e dove la vendetta è azione alla quale un uomo d’onore non può sottrarsi. In questo capitolo Cossiga racconta le sue origini miste, tra borghesia e piccola nobiltà, la fanciullezza e i miti infantili appartenuti alla famiglia democratica, antifascista, repubblicana e autonomista sarda. Non perde occasione, l’autore, per puntualizzare la sua educazione in parrocchia-oratorio, diversamente da Romano Prodi, in parrocchia anch’egli, ma in «odore di sagrestia!». Nel secondo capitolo, Alias, vengono riproposti gli alter ego di Cossiga, nomi con i quali firma articoli e interviste e che diventano emblematici della contraddizione del suo pensiero. Uno di questi è Franco Mauri, ispirato al nome completo, Francesco Maurizio, e con il quale su Libero del 2003 dichiara il suo mito politico, Palmiro Togliatti. Fa sorridere altresì la vignetta di Forattini riportata in copertina: un Cossiga vestito da magistrato al banco degli imputati che proclama: «Sono per il no, ma per non interferire, voterò sì». Il terzo capitolo, Comunismo & Co. racchiude la filosofia cossighiana: “Odi et amo”. L’autore sostiene che «la grandezza oscura del comunismo è questa: il comunista vero non deve avere né padre, né madre, né fratelli». Durante la gioventù Cossiga fu tentato di iscriversi al Pci perché rappresentava la lotta al nazifascismo e la vittoria della democrazia, la libertà e la Repubblica. Nei decenni successivi si è andata perdendo l’importanza della lotta di classe e assistiamo all’assalto dei nuovi “poteri forti”, non controllabili, come ad esempio la globalizzazione finanziaria e dell’informazione. Ironicamente puntualizza che durante la celebrazione del 25 aprile vanno in piazza le bandiere rosse, sicché nell’immaginario collettivo «“Resistenza” e “comunismo” rimangono tuttora un binomio indissolubile» (da Il Giornale del 26 aprile 2005). I sei capitoli successivi sono dedicati ognuno a un personaggio. Comincia con Stalin, il presidente, scrivendo di lui: «Ogni forte ideologia deve avere un mito. Così c’era il mito del comunismo, che non sarebbe stato tale se non ci fosse stato il mito dell’Unione Sovietica. E l’Urss non sarebbe stata tale se non ci fosse stato Stalin». Prosegue con Enrico Berlinguer, parente di secondo grado (come essere fratelli in Sardegna), nobile benché socialista: «è stato un grande leader politico e morale del nostro tempo, un testimone del travaglio profondo della democrazia italiana». Di Massimo D’Alema dice che è «il miglior fico del bigoncio della politica italiana», non avendo mai nascosto per lui stima e amicizia, nonostante fosse stato accusato di antisemitismo e implicato nell’affare Unipol. Quando è chiamato ad esprimere un’opinione su Romano Prodi, l’autore svela sulle pagine de Il Foglio del 2003: «Prodi è la persona che capisce meno di politica, ma è uno dei più furbi che conosco… dice le bugie meglio di Berlusconi». Non si attarda, Cossiga, a dare la sua interpretazione anche su Silvio Berlusconi: «Forza Italia è l’unico caso di un partito fondato non sulla base di una scelta culturale e direi quasi filosofica, ma per emancipazione di un’unica personalità» e continua: «Berlusconi è una novità assoluta, unico caso di leader che ha creato un partito ex novo e dunque nemmeno concepibile senza di lui». Di George W. Bush junior Cossiga non è affatto un grande ammiratore, ma non perde occasione per manifestare le sue contraddizioni. In occasione della visita italiana di Bush, nell’estate del 2007, il presidente appende la bandiera “stelle e strisce” alla finestra di casa e colma il presidente americano di attenzioni, ma nello stesso giorno si reca in piazza del Popolo, bandiera alla mano, dov’è in corso la manifestazione anti-Bush.


Questione di morale

Nei capitoli successivi Cossiga si sofferma sulle questioni etiche, morali e religiose che derivano da argomenti scottanti come l'Islam, Israele e gli ebrei. Da cattolico convinto, l'autore torna sulla questio "Allah-Dio", tema spinoso, che anche Benedetto XVI durante la lezione di teologia di Ratisbona, non contribuisce a chiarire. Per Cossiga l'Islam è certamente religione, ma si lega strettamente al fondamentalismo e alle azioni terroristiche anti-occidentali: «Ma si tratta davvero di terrorismo o è, piuttosto, la legittima reazione dei musulmani ad un Occidente che li ha colonizzati […] volendo imporre la democrazia nei loro paesi?». Sull’etica prende di mira il referendum sulla fecondazione assistita e le unioni di fatto. Chiama a riflessione, nel febbraio 2007 sulle pagine de Il Tempo, gli “amici” della sinistra: «[…] voi cattolici italiani, obbedirete o voterete lo stesso il disegno di legge Pollastrini-Bindi in nome del principio della laicità della politica?». L’ultimo capitolo è dedicato ai tanti vaticini profetizzati dal presidente, «alcuni avveratisi, altri no, altri ancora da vedersi», come recita il sottotitolo. Con impeccabile ironia e voglia di rivelare la politica italiana nel quadro internazionale, Francesco Cossiga si racconta attraverso gli articoli e le missive pubblicate sulle testate giornalistiche, a botta di “picconate”.

Marilena Rodi

Fonte: www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 16, dicembre 2008