mercoledì 20 gennaio 2010

Tecniche di grotta, di Giovanni Badino


Per far dei passi avanti dall’orlo dell’abisso

Nel mondo dei manuali di tecniche speleologiche Tecniche di grotta. Per far dei passi avanti dall’orlo dell’abisso di Giovanni Badino (pp. 208, Erga edizioni) è quello che si presta meglio alla divulgazione di argomenti tecnici.

Intervista a GIOVANNI BADINO
Un libro che ha quasi vent’anni. Cosa proprio non salveresti in un’eventuale riedizione?

Di per sé nulla, anche perché era basato sull’esperienza mia e quella non è maturata sul terreno delle grotte che vanno a frequentare quelli che leggono quel libro, cioè le grotte accanto a casa. Grotte europee, normali. Quel che sapevo allora, so adesso, quindi non posso aggiungere nulla. Da allora mi sono specializzato nell’applicare le stesse tecniche di studio e sviluppo di quelle che avevo impiegato per le grotte di casa, a grotte aliene, fossero nei ghiacciai, nelle quarziti, calde o fredde. Insomma, ho studiato, con ancora più intensità, situazioni che esulano dall’esperienza che un neofita è destinato a fare nei primi anni. Ho approfondito l’esperienza di reazione a situazioni critiche, ma anche quella è finita nei Quaderni Didattici, SOS in Grotta, che va letto come parte integrante del libro. E quindi non ha senso proporre né ampliamenti, né cesure. Però temo servirebbe un libro più semplice che prepari allo studio di questo. Mi pareva già allora, ora mi pare di più, perché è crollato il livello di entrata. Ora ho fatto due powerpoint che vanno in quella direzione, ma il libriccino manca.
Paolo Forti, nella Prefazione scrive: «finalmente alla mia non più tenera età ho compreso cose che mai mi ero sforzato di approfondire». Gli speleologi cosa, spesso, danno per scontato?
Quello che danno per scontato quasi tutti gli esseri umani: che certe cose siano impossibili da fare e che però, comprando questo e quello, si possano fare. È difficilissimo, spesso impossibile, far capire che gran parte delle attività complesse sono difficili, ma acquisibili con stretta disciplina e passione e studio e applicazione. Con serietà. Non si possono comprare, sono proprio da sposare. Farlo entrare nella testa dei neofiti è difficile, ma è ancora più difficile farlo accettare dagli istruttori, che non lo avevano accettato quando erano neofiti… Si preferisce quindi sfiorare ogni argomento, facendone proprie le regole più generali e le attrezzature, e poi passare ad altro quando si scopre che per andare avanti occorre modificarsi profondamente. D’altra parte siamo scimmie, non divinità…
La recensione è stata scritta da una neofita che ha frequentato un corso di introduzione alla speleologia nel 2009. Quanto può incidere una cultura bibliografica su un giovane speleologo?

La civiltà umana dipende dalla scrittura, dalla possibilità di tenere memoria di esperienze vaste e complesse, che non sono quindi più da ripetere nel breve volgere della nostra vita. Si va avanti, scrivendo per chi verrà. Quindi ti risponderei che un buon libro incide in modo totale su un neofita, se ha il cervello. D’altra parte sono sicuro che non incide per nulla, se non ce l’ha. A noi, del resto, interessa che si fermino a fare speleologia le persone dotate di cervello, non di bicipiti. Il cervello non viene, con l’allenamento, i bicipiti sì… Devo pure dirti che, proprio per questo, l’editoria speleologica è assai ostacolata, qui e là, da parte di chi teme che i “suoi” neofiti vengano sviati da letture malvagie, che facciano loro capire che i loro “istruttori” sono dei poveretti.
Parliamo di didattica. Nelle note conclusive scrivevi: «questo sembrava destinato a divenire un testo fondamentale nei prossimi anni». Esprimevi anche la perplessità riguardo all’insegnamento e alle sperimentazioni.. A distanza di circa vent’anni credi di poter confermare i dubbi di allora?
Lo confermo in modo totale, con rammarico. Purtroppo a livello locale la didattica dipende troppo spesso da chi, nella speleologia, è entrato troppo timidamente e con poca disciplina, e quindi tende a perpetuare negli allievi lo stesso approccio. Anzi, ed è più grave, tende ad allontanare i neofiti potenzialmente più validi, con pensiero e orizzonti più vasti. La soluzione è, ovviamente, uscire dagli steccati dei gruppi, puntando a livelli regionali e sovraregionali. Ma siamo ancora lontani da questo livello. Sono sempre più convinto che gli speleologi siano di qualità, di rango drammaticamente inferiore a quella del problema che affrontano, lo studio del mondo sotterraneo. Dopo decenni di ricerche ai limiti estremi, posso dichiarare con un sorriso che siamo ancora in alto mare. Come dicevaEinstein nel suo ultimo scritto:
«Die letzteren, flüchtigen Bemerkungen sollen nur dartun wie weit wir nach meiner Meinung davon entfernt sind, eine irgendwie verlässliche begriffliche Basis für die Physik zu besitzen».
(Le ultime rapide osservazioni devono solo rilevare come, secondo la mia opinione, siamo molto lontani dal possedere una base concettuale della fisica alla quale poterci in qualche modo affidare).
A. Einstein, Princeton 4 aprile 1955
©Marilena Rodi

giovedì 14 gennaio 2010

Umbria, la leggenda del fuoco di Gualdo Tadino


«Dalla piana di Gualdo vollero tutti andarsene, perché il castello era difficilmente difendibile.
Edificare a ridosso del monastero di San Benedetto era veramente cosa ingenua».
Francesco Giubilei, in Bastola. La signora del fuoco (Società editoriale Arpanet, pp. 80, € 3,50) racconta le memorie storiche di questa cittadina, vittima per due volte di incendi: il primo nel 996 ad opera di Ottone III (quando era Tadinum), la seconda, nel 1237. Ed è proprio con questa vicenda che l’autore, ricostruendone gli eventi, ci coinvolge nella leggenda.
Gualdo Tadino, anticamente Gualdum (dal latino ‘selva’), un insediamento oggi di circa 16 mila abitanti, fu dichiarato ‘città’ da Papa Gregorio XVI nel 1833, modificando il precedente nome Gualdo di Nocera. Persino Dante, nel Paradiso cita: «Intra Tupino, e l’acqua che discende / del colle eletto dal Beato Ubaldo, / fertile costa d’alto monte pende, / onde Perugia sente freddo e caldo da Porta Sole; / e dietro per greve giogo Nocera con Gualdo».
Annessa nel 1469 agli stati della Chiesa e poi come commissariato apostolico negli anni tra il 1587 e il 1798, è famosa oggi per le sue acque (sorgenti Rocchetta).
L’incendio del 1237 fu di dimensioni memorabili, il paese fu raso al suolo e, secondo quanto narrato dagli storici, solo Cartagine, ebbe sorte peggiore.
Leggenda o meno, l’autore precisa che quanto approfondito sull’argomento merita d’esser raccontato.


Una figura misteriosa, una donna che somiglia per certi versi al piacente profilo femminile di De André, vive in un castello, orfana dall’età di 15 anni, il cui nome era la Bastola. O meglio: questo era il nome col quale tutti la conoscevano.
L’alone di mistero che circonda la donna è fattore scatenante delle fantasie popolari che la credono una strega, una ruba-mariti. E si sa: quando serpeggia tra i popolani il timore d’una entità oscura che punta all’accaparramento delle attenzioni maschili, l’invidia e la rivalità diventano i ciechi sentimenti dell’opinione pubblica.
La Bastola, il cui vero nome però, era Bartola, poco si interessava alla vita cittadina, chiusa com’era nella sua solitudine. Qualcuno, tuttavia, giunge ad allietare le sue giornate, un cavaliere che stabilirà la sua dimora al fianco della donna.
Sono lieti gli anni che seguono, anche la nascita di una bimba. Fino al momento in cui la cattiveria umana dilaga.
Avvincente è poi la descrizione dell’abbandono, della sofferenza femminile e della vendetta.
L’autore, con un linguaggio moderno, narra il mito del fuoco di Gualdo Tadino e uno spaccato di storia che non tarda a rasentare la leggenda metropolitana, ma che lascia aperto lo spiraglio del dubbio: accadde davvero quella notte?

©Marilena Rodi 
(Tra gli scaffali di Periodico italiano)

martedì 5 gennaio 2010

Sulle corde, di Monica Dini


«Le finestre sono come cartoline. Ci potresti scrivere sopra i saluti».
Monica Dini, speleologa toscana, introduce una visione fatalmente umana degli speleologi, il popolo dei frequentatori delle cavità sotterranee, attraverso una finestra insolita, quella della memoria fantastica.
Tra le righe di Sulle corde, prima fatica editoriale della Dini, edito dalla Società speleologica italiana (pp. 96, € 8,00), l’autrice non svela particolari che sfuggono agli esploratori del buio, non racconta dettagli di avventure nelle viscere della Terra, e non documenta uno spazio geologico.
Gli “Archivi del tempo”, come ama definirli spesso Giovanni Badino – che presenta il libro – rappresentano una dimensione realisticamente “umana” dell’animo e dell’identità degli speleologi e della donna, in particolare, immersa in questo stravagante universo.
Una interpretazione surreale di desideri, passioni, ricordi ed esperienze di questo popolo assai scollato dalle dinamiche sociali, ma pur sempre vittima inconsapevole, per certi versi, di queste ultime.
Il libro è una raccolta di racconti che evidenziano gli spazi infinitamente ridotti della coscienza e della conoscenza umana, quasi a voler porre un accento sulla dimensione carnale (e quindi “a tempo”) di uomini in imprese memorabili; la penna arguta, spesso provocatoria dell’autrice, veleggia sul profilo dell’uomo che a onor di anagrafica contempla le sue gesta in una memoria ormai sbiadita.
Il linguaggio, di immediata comprensione, permette la lettura anche ai non addetti ai lavori.


Intervista a MONICA DINI

Monica quando hai cominciato a fare speleologia?
Ho cominciato ad andare in grotta quando avevo circa venti anni. Credo però che ci si possa definire speleologi quando si è capaci di andare in esplorazione, armare e avere cognizioni in autonomia, in questo senso ho solo piantato qualche chiodo.

Qual è il ricordo speleologico che porterai sempre con te?
Il ricordo è il buio. Restare soli, spegnere la luce aspettare senza emozioni o ragionamenti che il buio mi riconosca come roccia, mi conceda di confondermi, in un certo senso mi assolva.

Qual è il rapporto tra donna e speleologia (secondo la tua esperienza)?
Non mi piace parlare di donne e uomini, mi piace l’essere umano. Certo le donne possono anestetizzare la fatica come i dolori del parto, ma gli uomini possono pisciare senza togliersi tuta e imbrago.

Nel libro citi personaggi dai nomi immaginari, ma forse in qualche caso pare chiaro il riferimento a qualche amico un po’ ’speciale’ nella tua ‘carriera’ speleologica..

Ho avuto il privilegio di osservare amicizie speciali, quelle che nascono dalla fatica, dalla condivisione di sensazioni e atti vissuti non come individui ma arti di un corpo unico. Quando ho ascoltato delle grandi esplorazioni al Corchia, per esempio, mi è sembrato che in fondo i personaggi si confondessero, come se non avesse grande importanza chi aveva scoperto cosa, perché tutti quelli che c’erano, erano scossi dalla medesima emozione. Io non ho fatto parte di questo.

Spesso fai riferimento alla “decadenza”, all’anzianità anagrafica e di servizio: è un messaggio particolare?

Io spesso ho dovuto aspettare, per esempio per tornare in grotta. E’ bene ricordarsi che siamo corruttibili per avere la misura, per non perdere di vista il fatto che non possiamo aspettare per sempre.

Rimpianti o rimorsi?

Troppi puntini di sospensione in Sulle Corde. Ho sempre scelto di fare subito ciò che reputavo più importante, per questo ho accantonato altro confidando di riprenderlo al momento opportuno; è perché non sono brava a fare bene troppe cose insieme, sono lenta. Ho avuto la fortuna di non morire e ho provato ad aspettare ciò che avevo lasciato indietro. Non ho rotolato nella vita, ho deciso. A parte i puntini di sospensione, non ho rimpianti o rimorsi, trovo che siano una perdita di tempo.

Come si conciliano per una donna speleologia e famiglia, secondo te?
Non sono la persona giusta a cui fare questa domanda, io non ho conciliato speleologia e famiglia. Ho fatto una cosa alla volta, solo adesso che la mia famiglia sa fare a meno di me, sono tornata in grotta ed è stata una ricompensa per la lunga attesa.

Un uomo che ha trascorso la sua vita in grotta quanto può diventare “fragile” quando smette di frequentare l’ambiente sotterraneo?
Credo che gli esseri umani che hanno sofferto e goduto grandi passioni, possano, adeguando i ritmi, mantenerle per sempre. Credo che si possa morire perché è giunta l’ora, anche stando attaccati ad una corda. Quando non si riesce ad avere questa visione, a volersi bene, accordandosi con il fatto che invece di volare, dobbiamo strisciare per continuare ad avere emozioni, allora diventiamo fragili. Questo nella vita in generale. Io credo che impossibile da fare sia tutto ciò in cui non crediamo abbastanza.

Perché il libro Sulle corde?

Scrivere è stato accantonato insieme alla grotta per molto tempo. Quando è stato il momento giusto, con umiltà, ho cominciato a sperimentare quale fosse il modo migliore di mettere insieme le parole per trasmettere quello che volevo. Ho avuto la fortuna di incontrare Julio Monteiro Martins, scrittore, direttore della scuola di scrittura creativa Sagarana e della omonima rivista, con cui confrontarmi, lui ha avuto la pazienza di farmi da maestro. Quando ho cominciato a scrivere quello che poi è diventato Sulle Corde, non sapevo che sarebbe diventato un libro, stavo solo cercando di imparare una tecnica.
L’idea è nata quando mi venne in mente una storia: un uomo senza alcuna esperienza, ma con un grande desiderio, si organizza ed entra in una grotta. E’ talmente grande il suo stupore e la sua ingenuità tecnica, che presto rimane senza luce. Prende coscienza del fatto che dovrà morire, ma mentre stremato dal pianto si appisola, sogna un giorno d’estate pieno di luce abbagliante dove si vede bambino insieme a sua cugina intento a spiare una lucertola a due code che si arrampica su un muro caldo. Il sole è forte e gli fa chiudere gli occhi, si scuote e ritrova il buio della grotta, però si scopre diverso, la luce apparsa nel sogno lo consola e lo spinge a tentare. Si impegna, affina gli altri sensi, comincia a strisciare ascoltando il mutare del corso del vento sulla faccia, toccando lo scorrere delle acque, battendo testate nella roccia.
L’idea era immaginare di sopravvivere grazie alla luce di un sogno. Era una schifezza di racconto, andava rifatto ma il mio maestro rimase affascinato dalla descrizione della grotta, lui che non ne aveva mai vista una, voleva che gli raccontassi ancora, ed è così che ho continuato a scrivere storie che contenessero una parte di conoscenza di tutti, ma ambientate in un posto per pochi. E’ un libro senza pretese tecniche, è stato letto anche da chi non è mai entrato in grotta, ha avuto una doppia vita come il titolo, lo stare Sulle Corde, anche nella vita di tutti, ha un significato.


©Marilena Rodi