martedì 1 dicembre 2009

Missione educazione: la libertà sta nella cultura

Autonomia di giudizio e indipendenza ideologica: il ruolo del docente è di ispirare e orientare. Sovera Multimedia lancia uno scambio dialettico



Il mondo della scuola? Quasi una catastrofe. La classe insegnanti? Carica di responsabilità e talvolta impreparata ad affrontare gli studenti. Gli allievi? Ancora fino a un decennio fa si poteva discutere di allievi, forse. In epoca contemporanea diventa complicato e paradossale definirli tali; semmai, “domatori” di adulti (e perché no, anziani) in un sistema alla deriva.
L’istituzione, fondata con i migliori propositi per la creazione di anime liberamente ispirate a cultura e istruzione, pare stia fallendo il proprio obiettivo. Il nuovo millennio, oltre l’avvicendamento di configurazione numerica, ha concepito una generazione di giovani impreparati, arroganti e incapaci, che di accogliere l’educazione scolastica non vogliono nemmeno sentir parlare.
Ne sa qualcosa la protagonista e autrice di Donne con le palle (Sovera Multimedia, pp. 92, € 11,00), Giovanna Curone, insegnante di letteratura, storia e geografia di un istituto superiore di Roma; una donna sicura di sé e determinata a trasmettere la valenza dell’istruzione a una classe di somari che frequentano il primo anno. Reduci del tirocinio d’obbligo, si avvicendano sui banchi della scuola media di II grado malvolentieri e nemmeno troppo preoccupati di acquisire le competenze tecniche necessarie per poter svolgere la professione per la quale debbono prepararsi.

Determinazione e “genio scrivano”
Quasi una missione, l’impegno della docente si profonde per gli allievi, per i quali deve reinventare ogni giorno il modo più efficace di garantire l’apprendimento delle nozioni basilari della buona educazione e del vivere quotidiano nella società, e per i colleghi, verso i quali nutre rispetto, ma anche scetticismo per i metodi di approccio e d’insegnamento adottati. Si ritrova così, a dover escogitare sistemi maliziosi ma efficaci per entrambi.
Con gli studenti, raccontando di relazioni interpersonali con l’altro sesso, notificando comportamenti poco eleganti per le femmine e cafoni per i maschi; architettando stratagemmi fantasiosi pur di invogliarli ad esprimersi in scritti creativi, simulando gare di bravura, interrompendo brusii e dialoghi poco consoni all’ambiente, alzando la voce con il capobanda e conquistando il meritato silenzio.
Con i colleghi e superiori, grazie a colpi di genio, sfrutta la sua eccellente dote di narratrice per trasferire silenziosamente opinioni e lezioni di vita, intuendone la singolare condizione umana di sottomissione e vergogna, nonché, paradossalmente, di presunzione trionfante, che talvolta rende ciechi al bisogno di condividere sentimenti e ansie.

Figli, genitori e metodi
La missione della docente, tuttavia, coinvolge trasversalmente anche la famiglia in questo tentativo di smuovere gli studenti e di responsabilizzarli nei rapporti interpersonali. In uno dei capitoli (intitolato “Là dove un alunno azzittisce la madre”) Giovanna Curone porta alla luce la reticenza dei genitori nei confronti degli insegnanti, “inviperiti” perché convinti che essi non siano davvero in grado di fare il loro mestiere. L’episodio, ilare, per quanto insolito, vede gli studenti partecipare attivamente al gioco dello scarabeo (trovata della docente per avviare un processo naturale di impiego della lingua italiana e di quella inglese) e scatenare il caos dettato dal fervore creativo. Una madre, indispettita, si catapulta nella classe accusando senza mezzi termini la docente di adottare metodi non convenzionali e che sta assistendo ad un’inutile e perdita di tempo. Giovanna tenta di elevare la statura intellettuale della sua interlocutrice spiegandole che quanto in opera è mezzo per il raggiungimento del fine più nobile di favorire un linguaggio corretto e più articolato degli studenti. Nell’alterco senza via d’uscita interviene lo studente, figlio della donna, con un comico «A mà! Ma statte zitta…», e rientrando in classe sbatte la porta lasciandosi alle spalle le espressioni attonite delle due donne.
L’ignoranza e la superbia, talvolta, si fondono creando e coltivando pregiudizi vani e gratuiti, agevolando barriere architettoniche tra culture difformi, quando è ancora possibile parlare di culture. Più spesso è disarmante scoprire che si tratta si radicata inciviltà.
Il linguaggio è lineare, ad intermittenza, arricchito da espressioni colorite tipiche dell’ambiente giovanile, denso di esperienze reali che rendono la narrazione fluida, seppur guarnita di espressioni dialettali e turpiloqui poco chic. Lo stile torna spontaneo definirlo street di conseguenza, ma la valenza istruttiva, soprattutto per la categoria matura, ricambia degnamente la lettura rocambolesca.
Una finestra inconsueta su uno spaccato in condizioni d’indigenza che rilancia il desiderio di offrire un’altra opportunità al mondo scolastico. Del resto, come recita l’autrice nel libro: «Chi siamo noi per decidere ciò che è giusto e ciò che non lo è? Un insegnante non ha formule magiche, può solo fare il suo mestiere: tirar fuori dalle zucche vuote ciò che loro stessi non vogliono ammettere…».

Marilena Rodi

(www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 8, maggio 2008)